LA “PATOLOGIA” PSICHICA

7 Novembre 2018 0 di Roberto Torresi

La difficoltà a “standardizzare” il funzionamento mentale

Riguardo i princìpi per definire la normalità/patologia, nel continuum della variabilità psichica interindividuale, la letteratura è ricchissima. Il criterio classificatorio della tradizione psichiatrica da tempo é stato messo in crisi. Basti pensare alle alterne vicende delle successive edizioni del D.S.M. Un nodo problematico, nel dibattito normalità-patologia, sta nell’idea, mutuata a priori dalla tradizione medica, che la psiche normale consista in uno standard determinato dal cervello e questo sia determinato dalla genetica. Come corollario di questo assunto deriva l’idea che la patologia sia individuabile come un qualche “guasto”, intervenuto in un “naturale” sviluppo psichico o interveniente nelle funzioni mentali del momento.

I suddetti due postulati, se validi tuttora in medicina, non sono però applicabili né alla psiche né al cervello, giacché gli studi neurofisiologici da alcuni lustri hanno dimostrato come la struttura funzionale ed anche morfologica del cervello (proliferazioni sinaptiche e reti neurali) venga “costruita” in seguito all’elaborazione che ogni singolo soggetto fa dell’esperienza che attraversa, soprattutto quella neonatale e infantile. Il concetto di maturazione neurologica, cerebrale in particolare, è oggi cambiato: non si tratta di una maturazione dovuta a uno sviluppo “naturale” iscritto nella genetica, bensì di una strutturazione delle connessioni nervose a seguito di come l’iniziale struttura elabora l’esperienza. La genetica provvede alla macromorfologia del cervello, ma la micromorfologia e le peculiarità funzionali vengono a costruirsi a seguito delle esperienze. Tra queste, incisive in quanto condizionanti ogni sviluppo successivo sono le modalità di fare esperienza del primo anno di vita: lo sviluppo del cervello emotivo (mesolimbico) e soprattutto dell’emisfero destro, con il loro primo sistema di memoria (centrato sull’amigdala) dipendono dal dialogo affettivo madre-neonato. Il dialogo cosiddetto affettivo è in effetti costituito da reciproci messaggi non verbali, tra bimbo e caregivers, attraverso cui il bimbo “impara” e tale apprendimento struttura il suo cervello. Fondamentale è che il dialogo sia sintonico e costruttivo, piuttosto che deficitario e disorganico, tra i due emisferi destri di madre e neonato (Schore, 2003a, b; Imbasciati, 2008a, b). Nessuno ha un cervello uguale ad un altro. Ogni “mente” viene costruita, in modo singolarmente irripetibile, dal singolo soggetto; in quanto così si costruisce il suo cervello. Da queste scoperte discende che qualunque sviluppo mentale (e quindi costruzione di un sistema neurale) e qualunque funzione psichica devono essere inquadrati nella storia individuale del singolo soggetto, indipendentemente dall’essere catalogati nella norma piuttosto che in una patologia, vale a dire, secondo l’etimo, in una “logia” di un qualche male (pathos) intervenuto a guastare una supposta “natura” dell’homo sapiens, ritenuta uguale per tutti. Pertanto un criterio per discriminare nello psichico qualcosa che possiamo consensualmente denominare normale da qualcos’altro che, più che patologico, sarebbe meglio definire anomalo, o statisticamente deviante, va cercato altrimenti: non nella causa dell’anomalia, ma nelle circostanze per cui quel singolo individuo si è trovato a elaborare la sua esperienza (sappiamo soprattutto relazionale), cosicché si è costruita quella sua peculiare struttura funzionale della mente. L’uso del termine stesso di “patologia”, e psicopatologia in particolare, può risultare fuorviante in quanto il suo alone semantico rinvia a una norma naturale e a una causa che l’ha turbata. All’idea di una causa che avrebbe guastato la norma, va sostituita la concezione di una rete pluricausale, di infiniti fattori, inerenti non solo all’esterno, ma agli iniziali modi interni di processare le informazioni, per cui ogni individuo viene a costruirsi a suo modo, anche a parità di condizioni esterne. La normalità psichica va allora ricercata nella ottimalità e desiderabilità (in funzione adattativa) del funzionamento mentale (Imbasciati, 1993, 2008a), per l’interessato e contemporaneamente per i suoi simili e prossimi. Il discorso si sposta allora dalla mera osservazione del comportamento all’indagine sulla genesi psichica che ne sta a monte. Tratto da Rivista di Psicologia Clinica 1/2010 di Antonio Imbasciati