PERCHÉ ESSERE GRATI AL 2020?

PERCHÉ ESSERE GRATI AL 2020?

4 Gennaio 2021 0 di Roberto Torresi

L’anno da poco trascorso ha segnato in maniera importante l’esistenza di tutta l’umanità. Sia chi è stato toccato direttamente, sia chi è stato sfiorato dal Covid-19 ha dovuto rivedere il “funzionamento”  della sua vita. Tutti abbiamo dovuto rallentare, disattivando i piloti automatici che governavano, fino al lockdown, le nostre esistenze, in favore di comportamenti più attenti, accuditi dalla riflessione.

Sentire la propria salute minacciata da qualcosa di completamente ignoto e apparentemente imprevedibile, per le limitate conoscenze possedute, ha legittimato l’emozione della paura, destabilizzandoci e facendo vacillare le nostre sicurezze. In questi casi, se l’irrazionalità prende il sopravvento sulla capacità di pensare, si comincia – per non sapere né leggere né scrivere – a divenire diffidenti di tutto. Pertanto, guidati dall’angoscia, si può arrivare a dubitare che un vaccino possa proteggerci da una minaccia così pericolosa, fantasticando le dietrologie più disparate. 

Paradossalmente, ma solo ad uno sguardo superficiale, le numerose scoperte fatte nell’ultimo secolo in ambito scientifico, ci hanno indebolito nella capacità di affrontare le avversità, rispetto ad un recente passato nel quale la malattia ed il dolore facevano parte delle nostre vite. Barricati ognuno nella propria comfort zone ci eravamo illusi di avere il pieno controllo della nostra vita, esorcizzando la morte come cosa-altra, che non ci riguardava. La nuova realtà imposta dal coronavirus, con le immagini da Bergamo delle bare trasportate dai camion dell’esercito, ha  sciolto, come il sole fa con la neve, la nostra protervia, facendo emergere tutta la fragilità, la caducità e l’impermanenza delle nostre vite.

Il 2020 ha “solo” rimesso in primo piano la realtà della nostra transitorietà che, ante Covid, negavamo proteggendoci dietro la fantasia dello scudo fallace, non valido, di un Ego onnipotente. È come se avessimo aperto gli occhi dolorosamente, liberandoci “dalle tenebre dell’ignoranza” come nel mito platonico della caverna, grazie ad un evento imprevisto (per chi favoleggia che tutto sia controllabile, sic!) che ci può insegnare a guardare oltre le proprie presunte certezze: sviluppando forza sapendo di essere deboli.

Questo cut off, l’interruzione dell’illusione di essere onnipotenti e del divenire obbligato, per il quale non ci si può fermare in nome della produttività e del profitto, può rappresentare, se riflettiamo sul cambiamento che dobbiamo implementare nella nostra “programmazione” – le abitudini – un’opportunità per far fronte alle naturali vulnerabilità che, se vengono ri-conosciute e accettate, possono essere trattate con la resilienza, fondamentale risorsa umana. Catastrofi ben più gravi della malattia infettiva che ha catalizzato l’attenzione in quest’ultimo anno sono state vissute e ci hanno forgiato, grazie alla capacità di riprenderci dalle avversità, di superare gli imprevisti e di adattarvici, risultando temprati alle future calamità.

Il rischio connesso ad un aspettativa messianica per un 2021 di “redenzione” è legato al cercare colpevoli, il 2020 che ha portato il virus e salvatori, il 2021 che metterà fine alla pandemia, fuori-di-noi, facendoci sentire totalmente impotenti. Se invece ci riconosciamo parte attiva del nostro preservarci dal pericolo del contagio, adottando tutte le misure di prevenzione e di contenimento per la convivenza con il coronavirus, potremo utilizzare l’emozione della paura trasformandola in attenzione e curiosità, piuttosto che lasciarla degenerare in ansia e diffidenza, rimanendo incastrati in un rimuginare tragico e impotente.

La responsabilità della nostra salute mentale e fisica è collegata al grado di consapevolezza che abbiamo su di noi, che ci permette di accogliere i limiti che ci caratterizzano per valorizzare le nostre risorse.

Ci può aiutare il passaggio da una dinamica affermativa, in cui si ha fretta di trovare risposte, di debellare il sintomo, ad una logica interrogativa, nella quale ci si concede il tempo di pensare, di porsi delle domande, rallentando, proprio come abbiamo fatto lo scorso anno, senza il terrore di mancate crescite-guadagni, per comprendere l’eziologia della pandemia.

Grazie alla paura generata dalla possibilità di essere contagiati siamo stati costretti a prenderci cura di noi in maniera attiva, mettendoci in discussione, a pensare sulle nostre abitudini che possono determinare comportamenti o visioni del mondo a volte irrazionali. Quando ci prendiamo tempo per riflettere possiamo deautomatizzare i nostri comportamenti, ripensando quelle abitudini che sono disfunzionali per la nostra salute. 

Pensare, porci domande, conoscere attraverso il confronto e lo scambio delle informazioni attendibili scientificamente, determina la secrezione dal cervello dei neurotrasmettitori, sostanze chimiche che attivano o inibiscono oltre che importanti funzioni fisiologiche, come ad esempio la frequenza del battito cardiaco, il ritmo respiratorio o la dilatazione delle pupille, anche i vissuti psicologici che sperimentiamo: allegria, rabbia, fiducia o impotenza… 

A volte i nostri pensieri possono essere condizionati inconsapevolmente, come avviene quando, in conseguenza ad eventi negativi, apprendiamo l’abitudine di secernere ormoni della tristezza; in seguito potrà accadere che sperimenteremo questa emozione anche ricevendo notizie positive. Se disconnettiamo il pilota automatico possiamo riflettere sulla contraddizione tra vissuti ed eventi che li hanno generati. Inoltre il pensiero può anche soccorrerci facendoci contemplare che non si può essere sempre allegri, ma questo non determina una condanna di infelicità, se non ci facciamo “ingannare” dall’happycracy, la moderna dittatura che distingue i felici dagli inadeguati, stabilendo una dipendenza contrappositiva. Si tratta dell’adeguamento alle pressioni conformizzanti esterne che ci portano a credere nell’equazione sono felice : esisto = se ho l’ultimo modello di smartphone = se vengo invitato all’evento esclusivo = se ho molti follower = se ho un determinato reddito economico… Con l’impatto della pandemia questo sistema di valori effimero ha perso gran parte della sua importanza. Improvvisamente avere disponibilità economiche era inutile se ci era interdetto di utilizzarle e la livella del divieto di assembramento ha determinato, democraticamente, il fare i conti con la solitudine di ognuno di noi.

L’interdizione allo stare insieme agli altri ci ha fatto divenire consapevoli dell’importanza della relazione, che altrimenti davamo per scontata. La “mancanza” sperimentata in questo anno mi auguro che ci deautomatizzerà dalle uscite compulsive, dall’obbligo di partecipare, in favore di una selezione razionale che prediligerà la qualità alla quantità, evitandoci abbuffate socializzanti.

Questo anno trascorso connessi a distanza ci ha permesso lo scambio di informazioni, che è solo uno dei canali della comunicazione, riducendo se non annullando quello affettivo, che tiene in piedi le relazioni.

C’è da augurarsi che questo brusco stop metta al centro la sostanza, l’importanza di prendersi cura dei rapporti sociali, che siano schietti e autentici, più che limitarsi a conoscere il maggior numero di persone possibili, come se fossero degli orpelli, delle apparenze fashion. 

Avere delle relazioni di qualità ci può permettere di vivere questo momento destabilizzante con la fiducia di condividerlo, tenendoci per mano.

Gioia, il superamento di tutte le contraddizioni che attraversano la nostra vita. Viviamo nella contraddizione, ma esiste un luogo in cui ogni contraddizione è oltrepassata? E noi, che cosa siamo, rispetto alla totalità di quel luogo? Quel luogo non è, forse, ciò che realmente siamo? La risposta è “sì, siamo quel luogo”. Un luogo che chiamo Gioia. Gioia non è la felicità, che è sempre una volontà soddisfatta. La Gioia, invece, è infinitamente più alta. Non è volontà, ma eliminazione di ogni contraddizione. E. Severino, intervista Vita, luglio-agosto 2019