LA PAURA ED IL PANICO, EMOZIONI DA GESTIRE

LA PAURA ED IL PANICO, EMOZIONI DA GESTIRE

16 Luglio 2019 0 di Roberto Torresi

Le emergenze sono una realtà con la quale bisogna imparare a convivere. Su questo l’umanità ha sempre avuto una chiara consapevolezza, prima che l’ondata razionalistica e tecnologica producesse un tale delirio di onnipotenza da far ritenere che fosse possibile eliminare le catastrofi ambientali dalla propria esistenza

In situazioni di emergenza vengono fortemente attivate da parte delle persone coinvolte difese psicologiche molto potenti, come ad esempio la negazione o la rimozione, che denunciano quanto forte sia l’angoscia degli esseri umani nei confronti di questi eventi. 

A livello individuale si manifesta con la patologia psicosomatica, che è in particolare l’espressione della scissione nell’uomo fra mente e corpo.

Le caratteristiche comportamentali ed emotive che distinguono le persone fra di loro e che influiscono maggiormente all’adattamento, alla sopravvivenza di un soggetto, di fronte alle pressioni ambientali, sono le emozioni (Darwin). Tra di esse, un ruolo chiave nella gestione emotiva delle emergenze spetta alla paura.

La paura è un’emozione vitale che ha uno scopo puramente biologico, è presente in tutti gli esseri viventi e assolve alla funzione di proteggere l’organismo. La paura protegge e prepara all’azione.

Ma se da un lato essa è un’emozione per sua natura difensiva, protettiva ed aiuta a dare una risposta efficace, può ottenere un effetto contrario, divenendo disgregante del comportamento, quando degenera nel PANICO che paralizza ogni movimento o spinge a comportamenti irrazionali, esso scatta quando gli stimoli negativi superano la soglia di vulnerabilità personale.

La PAURA che si presenta davanti ad un incendio, ad esempio, è considerata una RISPOSTA FUNZIONALE ALLA SOPRAVVIVENZA, mentre il PANICO è considerato una REAZIONE MAL ORGANIZZATA ED ECCESSIVA di fronte a un pericolo dal quale non ci si sa difendere.

Il panico compare molto frequentemente in situazioni di emergenza dove è difficile reagire normalmente, dove non si può scappare, non ci si può arrabbiare, non ci si può mostrare deboli e chiedere aiuto, non ci si può disperare ed essere tristi, non si riesce ad organizzare l’azione, non si riescono ad integrare tra loro emozioni e cognizioni, personaggi e storie.

Quando l’emergenza si protrae

Le calamità naturali, come ad esempio il susseguirsi di fenomeni sismici, sono eventi che superano l’ambito della normale esperienza e che quindi, dal punto di vista psicologico, rappresentano emergenze tali da indurre stress nelle popolazioni coinvolte.

Questa condizione è, in un primo momento, normale e fisiologica. Di regola una catastrofe non è mai preannunciabile e prevedibile, per questo crea maggiori scompensi emotivi.

Quando le condizioni di emergenza si protraggono per tempi lunghi, senza la possibilità di avere certezza della fine degli eventi ansiogeni, le fasi di risposta che si susseguono possono condurre ad un esito differente, impedendo così il ritorno al normale funzionamento. 

Si possono generare, infatti, reazioni emotive particolarmente intense, in grado di interferire con la regolare capacità di fronteggiamento, sia durante l’evento, sia in seguito, anche a distanza di mesi.

In tali circostanze, quindi, il nostro organismo non riesce a riorganizzarsi, sia in termini fisiologici sia psicologici. Possono insorgere patologie conseguenti alla cronicizzazione della paura, che può diventare angoscia se protratta per lunghi periodi.

Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS) e Resilienza

Molte persone si ritrovano a vivere esperienze ansiogene, ma non tutte sviluppano il DPTS.

Le condizioni in grado di generare traumi psicologici sono pertanto da collegarsi sia a fattori oggettivi, la scossa di terremoto, sia a fattori soggettivi, ovvero l’interpretazione che ogni individuo attribuisce al fenomeno reale ed ai conseguenti vissuti emotivi che ne derivano.

I primi, chiamati anche fattori di rischio esterni, riguardano la durata e la gravità dell’evento traumatico, il tipo di trauma, fattori situazionali al momento del trauma, la qualità del supporto ricevuto dopo l’evento e la presenza di altri traumi subiti.

Condizioni di rischio più strettamente indviduali, anche dette interne, sono i fattori genetici, la familiarità per il disturbo, la personalità, fattori di resilienza (ovvero la capacità di ritornare ad una situazione pre-trauma), traumi pregressi, precedenti problemi comportamentali o psicologici (ansia depressione), alcuni eventi di vita pre –  (come le separazioni precoci dai genitori) e, post- trauma.

Si tratta, tuttavia, di fattori che genericamente predispongono il soggetto a psicopatologia; resta, quindi, ancora da definire quali di questi possa essere un fattore di predisposizione specifico per il Il Disturbo Post-traumatico da Stress

I sintomi del disturbo possono causare conseguenze sul piano relazionale e lavorativo.

Le sensazioni di rivivere le esperienze traumatiche interferiscono con le capacità attentive della persona, e sono accompagnate da forte preoccupazione, inappetenza, disturbi del sonno.

Alcune persone possono ricorrere all’uso di alcol e droghe, pensando così di poter dimenticare l’evento traumatico.

Studi sull’impatto dello stress acuto e cronico, hanno evidenziato cambiamenti fisiologici e morfologici in molte regioni cerebrali, in particolare nell’amigdala, nell’ippocampo e nella corteccia prefrontale.

In questi casi un intervento per trasformare il trauma, da tragedia ad opportunità, può aiutare soggetti coinvolti a riprendere le loro vite, ripartendo da quanto accaduto, senza ovvero negarlo, ma neanche rimanendovi “incastrati”, in un atteggiamento vittimistico e disperato. Durante un percorso psicoterapeutico è possibile utilizzare  la metafora delle crepe nelle case e negli edifici che hanno moltissime similitudini con le crepe create all’interno delle persone da un trauma.

Come gli edifici si mettono in sicurezza e si ricostruiscono in modo da poter sostenere eventuali altre scosse, così le memorie vengono rispolverate e riempite di nuove possibilità più efficaci delle precedenti. Come le crepe vengono sistemate, così le fratture del sé vengono ricucite

La persona che sviluppa DPTS, invece, rimarrebbe impegnata nel tentativo fallimentare di dare un senso ed una spiegazione all’evento. Secondo le teorie cognitive, questo accade perché la persona ricorre a pensieri negativi che non le consentono di integrare l’esperienza traumatica nella visione del mondo e di sé precedente al trauma.

Secondo McCann e Pearlman (1990), questi pensieri negativi vanno ad intaccare le credenze di base della persona.

L’evento traumatico, in particolare, sembra minare nella vittima la credenza di vivere in un mondo sicuro, l’idea di potersi fidare degli altri (ad es. in una persona che non ha mai subito traumi, e che magari si fida molto degli altri, un evento traumatico può distruggere la fiducia negli altri), la propria indipendenza, il proprio potere, la stima negli altri e la sicurezza di avere la stima degli altri, l’idea che l’intimità non sia pericolosa.

Studi specifici sull’adattamento allo stress hanno dimostrato come i fattori di personalità relativamente stabili, ad esempio la felicità e l’ottimismo, possano mediare gli effetti negativi dello stress

A questo proposito, evidenze sperimentali indicano che, di fronte ad eventi di vita negativi, persone che in precedenza hanno avuto esperienze positive, attingevano da questo “bagaglio emotivo” per poter esercitare una gestione psicologica dell’evento, in modo da adattarsi allo stress, ed esibendo una minor vulnerabilità a sviluppare le classiche patologie stress-correlate.

Studi recenti, condotti nell’ambito della psicologia positiva e del benessere, hanno mostrato come alcune persone a seguito di un evento traumatico possano, parallelamente all’insorgenza del DPTS, riportare anche una crescita postraumatica in diverse aree della loro vita: personale, sociale e cognitiva, come ad esempio migliori relazioni interpersonali, maggiore apertura mentale, maggiore spiritualità…

Nella letteratura scientifica sono riportati diversi casi di persone che sono riuscite a reagire positivamente ad un trauma. È la testimonianza di come, esperienze orribili o prove estremamente dure della vita, possano attivare anche un aspetto forte e potente, che determina un cambiamento positivo e crescita personale

Si parla in tal caso di “crescita post-traumatica” (post-traumatic growth), ossia la possibilità di arricchirsi e di trasformare un episodio negativo di vita in una fonte di trasformazione positiva, in uno stimolo al miglioramento, attraverso delle capacità che si sviluppano in stretta connessione con la riscoperta di una capacità di fronteggiare eventi anche molto critici.

Questa capacità viene definita RESILIENZA