LASCIAMOCI ACCAREZZARE DAL RESPIRO, LASCIAMOCI TOCCARE DALLA VITA
Le recenti direttive per il contrasto e il contenimento sull’intero territorio nazionale del diffondersi del Coronavirus stanno determinando sempre di più importanti cambiamenti nella vita di ognuno di noi e nei comportamenti da attuare, possiamo provare a non subire passivamente questo STOP (dobbiamo farlo, a malincuore) scegliendo di osservare cosa accade quando “usciamo fuori” dai comportamenti abituali, evitando quelle condotte che attuiamo spesso senza pensarci, come stringere mani, mantenere distanze di sicurezza o altre prescrizioni, e cosa possiamo apprendere di noi stessi quando è la consapevolezza e non il pilota automatico a guidare i nostri comportamenti, come si sperimenta durante le pratiche di Mindfulness.
Potremmo riconoscerci responsabilmente orientati al benessere e alla salute di tutti, mentre rinunciamo alle nostre consuetudini, trasformando questa pausa da emergenza in opportunità per riflettere sulla realtà dell’interdipendenza. Il virus ci “insegna”, travalicando qualsiasi confine, geografico, politico, sociale ed economico ed evidenziando quelle fragilità che non vorremmo riconoscerci, che possiamo contare sulla forza che può derivarci dalla consapevolezza dei nostri limiti e dal trovare accordi con i nostri simili.
Nel momento in cui ci viene chiesto di evitare il diffondersi del contagio riducendo il contatto con l’altro, possiamo ovviare, come afferma la poetessa , Chandra Livia Candiani: lasciandoci accarezzare dal respiro, lasciandoci toccare dalla vita.
C’è in noi una batteria fondamentale, è fatta di silenzio, di esitazione, di delicatezza, di compassione saggia, ha bisogno di essere ricaricata, ha bisogno di silenzio, di vuoto, di sospensione. Imparando a conoscere intimamente il respiro, ci accorgiamo che ha due pause, una breve tra inspirazione ed espirazione e una più prolungata alla fine dell’espirazione, prima di inspirare di nuovo. Riuscire a sostare in questa pausa è come sostare nella terra della mancanza, senza cercare rimedi e cause, è entrare in contatto con il nostro fondamentale, radicale mancare e scoprire che dimorando nella sua precaria, sfuggente terra, ci ricarichiamo, siamo. Come dire che il sollievo che cercavamo correndo a riempire la mancanza, lo troviamo invece sentendola, abitandola.
La quiete che man mano si costruisce tornando con assidua e delicata cura al respiro non è però che il nido da cui partire e a cui tornare, non è la meta né la Via, solo un suo passo. Ci si affeziona facilmente a quella quiete, la si scambia per pace, si pretende di non lasciarla mai e si vive tutto quello che la disturba come nemico, si crede di poter prima o poi vivere in una bolla di serena separatezza da tutto il resto, dalla nostra stessa vita. La pratica della consapevolezza invece ci collega, ci connette, non più attraverso le opinioni, le preferenze, i concetti, ma attraverso il respiro e la visione profonda e intuitiva che il sostare nella serenità fa sorgere. Nella sua opera Totalità e Infinito, Lévinas dice che vorrebbe sostituire al termine “concetto”, qualcosa che viene afferrato, la parola “carezza”, qualcosa che sfiora senza prendere, qualcosa che scorre. La carezza è «marcia verso l’invisibile», perché la carezza «non sa cosa cerca». Questo è il giusto tocco a cui ci addestriamo nei confronti di noi stessi e degli altri, conoscere accarezzando, lasciandoci accarezzare dal respiro, lasciandoci toccare dalla vita. Certe volte saranno strattoni, sberle, scosse, ma se impariamo a lasciarci scuotere, ad andare con la corrente, la carezza sarà presente come metodo, modo di accogliere.
“Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione“, Einaudi, 2018